Fuori, in giardino, nel quieto rossore della sera, due giovani operai hanno posato le vanghe, i picconi e gli arnesi; hanno messo a dormire la piccola scavatrice, che ha faticato tutto il giorno a far buche. Stappano ora due birre e si siedono vicino allo scavo, proprio di fronte alle finestre di Patrizia; attendono che il loro capo riemerga dall’ufficio – si spera – con un altro assegno in mano: è gente strana, questa, a cui piace gettar soldi al vento.
Tutto l’albergo è come un abito bello quando lo trovi dal rigattiere – ci sarebbe così tanto da fare per rimetterlo in sesto: l’asfalto del piazzale tutto sbreccato dai geli invernali; gli scuri delle finestre da riverniciare; gli intonaci delle facciate tutti sbiaditi e le tegole rotte – e invece la Signora continua a pagarli per scavar buche in giardino. Per cercare questa miracolosa acqua perduta, che continua a non farsi trovare. Solo pietre e fango, trovano sempre. E intanto anche il giardino si sciupa, che era l’unica cosa bella di questo postaccio grande e tetro, e adesso sembra quasi ci sia tornata la guerra con le sue trincee. Per forza che li guarda male, quel vecchio giardiniere mezzo matto! Da solo com’era, chissà che culo che s’era fatto, per tenere il giardino così, come quello di una reggia!
Anche adesso il vecchio Marzio li fissa, tremante di rabbia, e fissa la buca, dall’anticamera dell’ufficio – che un tempo era stata la stanza del segretario del direttore, quando lui era appena un bambino e di un segretario c’era ancora bisogno. I due operai, fuori, se n’accorgono e si danno di gomito; ridacchiano del vecchio matto, che sembra gonfiare come una pentola a pressione scordata sul fuoco. Se solo sapessero!
Se pensano che ce l’abbia con loro, si sbagliano di grosso, poveri sciocchi! Se solo sapessero quale orrore si cela in giardino; per quale ragione lì non si deve scavare! A volte la tentazione di aprire la bocca e gridare: – Santo Cielo Fermatevi! – di svelare il segreto e metter tutti in guardia; di condividere il peso tremendo che si è tenuto dentro per tutti questi anni – lo fa tremare come una foglia. Ma non si può! Questa vergogna, questa colpa così orrenda che nemmeno un’intera vita passata a punirsi è bastata ad espiare – Marzio non può permettere che un simile male contamini le persone che gli sono più care: la sua adorata Libera, a cui deve la vita stessa; sua nuora Patrizia; men che meno Anna – piccola Anna, cuore del nonno, angelo innocente – già condannata alla nascita a una vita dimezzata da ritardata mentale. E chissà: forse una vita più felice di tante altre, ma… Ogni volta che pensa ad Anna, Marzio non riesce a togliersi dalla testa il pensiero lancinante che la condizione di sua nipote – non meno della prematura scomparsa del suo unico figlio Antonio – non siano altro che i frutti avvelenati del suo peccato originale – un peccato che nessun Qui Tollis potrà mai redimere.
– La devono smettere! – il sordo borbottio dei suoi pensieri erompe fuori con rabbia – Deve lasciarlo stare, il mio giardino! – e il grosso pugno calloso scandisce le parole picchiando contro lo stipite della finestra.