Un’altra occasione banale: al ritorno da una serata allegra in compagnia di amici, a tarda notte, ci fermammo di fronte alla chiesa di Lagaro. Lagaro è uno di quei posti che normalmente attraversi, ignorandolo, mentre vai da qualche altra parte. I luoghi però, anche quelli più trascurati o trascurabili, quando si spogliano della loro quotidianità, rivelano a volte la loro essenzialità. Come se aria e quotidianità defluissero via e allora la vista può percepire una realtà diversa negli interstizi tra le cose private del loro senso comune. L’imago seduta era il gatto.
E’ la parola di notte
un artificioso equilibrio di specchi
in viso a una chiesa di pietra
ed un gatto che chiede con fusa;
vacuo è il cielo
e ricolmo di stelle,
quasi che l’aria
tenesse il respiro;
la nostra voce sfrontata
non è; non è il vento gelato
né il rombo
che da’ ponti ci giunge slavato
di chi viene e chi va:
ma tutto questo passa e trapassa
come un film muto,
e la netta coscienza
che un mondo diverso
passando
ci guarda da presso. Ma in questa notte,
fervida di prodigio,
c’è solo intenzione,
e quell’imago che tace seduta
indicando m’addita
a un mondo di scelte mancate…
l’unica cosa
che puoi dire di udire davvero
è un rantolo sordo, che orla leggero
il respiro del gatto
e che dici
non c’è.
Datazione incerta. Primi anni ’90